LA VITA AL TEMPO DEL COVID
di Sara Maccario
Una manciata di ore ha modificato il quotidiano vivere di noi tutti, ritmi e tempistiche personali e professionali come rimbalzate all’interno di un’epoca antica dove lo scorrere del tempo ancora si “permetteva” di usare interamente i sessanta minuti delle ore senza alcun stiracchiamento.
Un nostalgico amarcord per dare il via a queste mie brevi riflessioni che avranno la forma di un azzardo che ho pensato di condividere con voi, un parallelismo tra comportamenti e atteggiamenti obbligatoriamente sperimentati dall’uomo al tempo del Covid e tratti comportamentali che caratterizzano alcuni disagi psichici.
Il Covid 19 ha bloccato, distanziato, isolato e imbavagliato un mondo tecnologicamente avanzato obbligando tutti, nessuno escluso, a rispolverare rudimentali e medioevali sistemi protettivi volti alla salvaguardia della propria e altrui incolumità.
Tutti noi, in un clima di stordimento, siamo stati ingaggiati in una caccia a “tesori” protettivi. Mascherine, guanti, igienizzanti e modalità di tutela che hanno accantonato e/o spostato i consueti comportamenti del nostro quotidiano esistere.
La città di Bergamo, un’archeologia elegante di movimenti antichi e moderni, improvvisamente sprofondata e pietrificata all’interno di un clima post-atomico colorato da assordanti silenzi, irreali immobilità e rari puntini umani disseminati tra le imponenti architetture. Vista, udito, sensazioni tattili, odori, sapori e movimenti umani non più esportabili all’esterno, ma unicamente spendibili all’interno delle proprie abitazioni.
L’uomo isolato e sospeso dal mondo esterno, un esterno guardato attraverso le finestre di casa, uniche vie di accesso tra un “dentro ed un fuori”. Impossibile mantenere e proseguire gli impegni personali e professionali usando i consueti comportamenti relazionali, adulti e bambini intorno ad un “impolverato” focolare domestico da rivisitare, riprogrammare e risperimentare.
Un fuori diventato pericoloso e spaventevole, colonizzato da invisibili e nocive particelle virali incattivite e assetate di relazioni e contatti umani.
Un virus incattivito che si è autoproclamato “dittatore” nei confronti della vita di tutti noi: il Covid sadico, invidioso e avido dell’esistenza umana. Noi tutti probabili untori, guardinghi gli uni con gli altri e intimoriti nei confronti delle vitali molecole di ossigeno trasformate e avvolte da una vischiosa e melmosa cappa di persecutorietà. Tosse, raffreddore, febbre e malesseri da sempre ritenuti “normali” improvvisamente sperimentati come pericolosi sintomi di quell’unica contagiosa tossicità mortifera, assolutamente da evitare.
Proviamo ora a pensare il Covid come un invisibile e sadico “dittatore” abitante la mente, un “padrone” che si è formato a causa di confusioni e incomprensioni emotive caratterizzanti le relazioni dei primi anni di vita tra il bambino e il suo ambiente genitoriale.
La mente di un bimbo, infatti, abbisogna di sperimentare una coerente stabilità e costanza affettiva genitoriale, coerenze emotive la cui mancanza può determinare frammenti psichici tossici/nocivi. Frammenti psichici che vengono “volgarmente” chiamate paure, rabbie, impotenze paragonabili a particelle di “Covid psichico”. Una tossicità emotiva che potrà sviluppare comportamenti e atteggiamenti ripetitivi, di isolamento e distanziamento nei confronti dell’ambiente esterno diventato per la mente pericoloso e persecutorio. Un esterno che la mente trasforma inconsapevolmente in persecutorio e pericoloso, come se la mente traslocasse all’esterno un pericolo interno.
Siamo di fronte a strutture psichiche di stampo autistico, una sofferenza che porta la persona a vivere internamente come avvolta da gusci protettivi trasparenti, più o meno spessi, funzionali a vivere nel mondo, ma guardandolo da dietro al vetro.
Sono comportamenti e atteggiamenti di non facile “gestione” e di sofferenza anche per l’ambiente circostante, ambiente che dovrà confrontarsi con profondi stati di impotenze, angosce e rabbie, alle volte, difficili da contenere.
Tutti noi ci siamo sentiti impotenti di fronte al virus Covid, un’impotenza che può avere generato forme di angosce e pensieri persecutori nei confronti della situazione stessa; un’impotenza che possiamo paragonare, seppur inconsapevole, e rintracciare all’interno dei disagi psichici ossessivo-autistici.
L’essere umano ad oggi sa prendersi cura della sofferenza fisica e degli aspetti preventivi in essa contenuti. Al contrario gli aspetti legati alla cura e salvaguardia delle meravigliose e, alle volte, dolorose emozioni caratterizzanti la nostra vita psichica affettivo-relazionale sono ritenute, per la maggior parte della società, potenziali e temibili tabù, incomprensibili ombre-nemiche che devono essere azzittire o distanziate.
Ogni sintomo psichico sarebbe da osservare e pensare come una preziosa fotografia di quanto accaduto e accade negli abissi della psiche: “appunti” trascritti dalla mente risaliti in superficie. La nostra mente ha un solo modo per comunicare alla ragione le profonde e dolorose confusioni delle emozioni: crea sintomatologie nella speranza di poterle smatassare e decodificare.
Tutta la sofferenza psichica andrebbe accolta e osservata come la pellicola di un film, una sequenza di vissuti emotivi che partono dalla nascita per arrivare al malessere portato dalla persona. E’ tutto scritto all’interno delle infinite forme di sofferenze presentate, qualsiasi gravità psichica è decifrabile così come le possibilità trasformative: la nostra mente è molto lineare, ma bisogna conoscere il suo alfabeto emotivo.
Il funzionamento psichico è un prezioso scrigno, un DNA affettivo, all’interno del quale sono custoditi i codici di accesso per avvicinarci alle emozioni e alle dinamiche relazionali da cui sono derivate le gravità delle sofferenze.
Spesso ragione e psiche vengono usate e pensate come fossero la stessa cosa: non è così.
La psiche è il contenitore delle emozioni e del loro funzionamento. La ragione è la sede delle capacità logico-cognitive, capacità che si uniranno con gli aspetti emotivi della persona.
Alla nostra psiche non interessa avere ragione oppure torto, ha bisogno di essere accolta, osservata e rispettata parendo dagli accadimenti relazionali del passato che disegnano il presente di ogni essere umano.
Ancora oggi la sofferenza psichica crea vergogne e imbarazzi, è un triste dato di fatto.
Essere pensati e tenuti nella mente dell’altro sono per ciascuno uomo esperienze vitali e affettive insostituibili: questa l’affettiva primaria cura per la nostra emotività!