La guida completa: che cos’è? Come si manifesta? Quali sono i soggetti coinvolti? Quali gli strumenti di tutela?

Con il termine bullismo si identificano una serie di comportamenti di prevaricazione e sopraffazione posti in essere soprattutto in ambito giovanile.

Si tratta di un fenomeno complesso al quale il diritto non resta indifferente: accanto agli strumenti di tutela penale e civile già previsti in via generale dall’ordinamento, sono al vaglio del Parlamento alcuni progetti di legge recanti specifiche misure di prevenzione e contrasto.

Sommario

1. Che cos’è il bullismo?
2. Definizione e caratteristiche
3. Forme di manifestazione del fenomeno
4. Soggetti coinvolti
5. Normativa e strumenti di tutela contro il bullismo
6. Tutele sul piano penale
7. Tutele sul piano civile
8. I progetti di legge al vaglio del Parlamento

1. Che cos’è il bullismo?

Il termine “bullismo” indica e riassume in sé una vasta ed eterogenea serie di comportamenti di prevaricazione e sopraffazioneposti in essere da uno o più soggetti nei confronti di una persona individuata come bersaglio di violenze verbali e spesso anche fisiche; la giovane età tanto degli autori quanto delle vittime di tali condotte, nonché il contesto in cui le stesse possono verificarsi (prevalentemente la scuola, ma anche i luoghi ove si pratica sport e più in generale gli ambienti di aggregazione giovanile), consentono di distinguere tale fenomeno da altre forme di aggressività  che tendono a manifestarsi principalmente nei rapporti tra persone di età adulta (si pensi ad esempio alla piaga del mobbing sul posto di lavoro) [1].

Si tratta di un fenomeno particolarmente allarmante, non solo per i gravi fatti di cronaca che periodicamente attirano l’attenzione degli organi di stampa, ma anche e soprattutto per la sua notevole diffusione all’interno di un’ampia fascia della popolazione in età scolastica (seppur con forme diverse ed intensità variabile), come sembrerebbe emergere dai più recenti studi dell’Istituto Nazionale di Statistica[2].

L’attualità del tema è testimoniata anche dall’interesse ad esso riservato dalle più alte istituzioni dello Stato: accanto alle numerose iniziative parlamentari[3], significativa è la costante attenzione dimostrata dal Presidente della Repubblica, attraverso diversi interventi pubblici tesi a condannare tale deprecabile fenomeno; recentissima è inoltre la nomina ad Alfiere della Repubblica di un giovane distintosi per il proprio impegno nel sensibilizzare i coetanei sulle delicate problematiche del bullismo[4].

Quella del bullismo è davvero una tematica estremamente complessa e variegata, per la cui completa analisi occorrerebbe mettere in campo approfondite competenze nell’ambito delle scienze sociali di cui chi scrive non è evidentemente fornito. Scopo del presente contributo è allora semplicemente tentare un generale inquadramento del fenomeno, tratteggiando quella che è l’attuale disciplina normativa ad esso applicabile e quelle che potrebbero essere le sue evoluzioni nel prossimo futuro, alla luce del notevole interesse che il legislatore ha dimostrato in proposito: è stata infatti approvata dalla Camera dei deputati lo scorso 29 gennaio 2020 – e si trova ora all’esame del Senato – una proposta di legge “in materia di prevenzione e contrasto del fenomeno del bullismo e di misure rieducative dei minori”[5].

2. Definizione e caratteristiche

Secondo la definizione fornita nel 1993 dallo psicologo norvegese Dan Olweus – tra i primi studiosi a livello internazionale ad essersi occupato in maniera approfondita del fenomeno del bullismo – “uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni. Un’azione viene definita offensiva quando una persona infligge intenzionalmente o arreca un danno o un disagio a un’altra”[6].

Volendo quindi evidenziarne le caratteristiche essenziali, il bullismo si contraddistingue per i seguenti elementi[7]:

  • intenzionalità, avendo il bullo lo specifico obiettivo di offendere, danneggiare, emarginare la vittima;
  • ripetitività, essendo le condotte persecutorie solitamente reiterate nel corso del tempo;
  • disparità di forza e potere tra i soggetti coinvolti, trovandosi la vittima in una posizione di inferiorità che le impedisce di sottrarsi alle angherie del bullo;
  • isolamento della vittima, spesso timorosa di chiedere aiuti esterni e di rivelare ad altri quanto sta subendo.

Conseguenza delle condotte bullizzanti è spesso un danno per l’autostima della vittima, danno che permane nel tempo e può determinare un suo progressivo abbandono degli ambienti scolastici, sportivi e sociali ove normalmente bambini e ragazzi dovrebbero invece tessere e sviluppare la propria rete di relazioni[8].

3. Forme di manifestazione del fenomeno

A seconda delle modalità con cui le aggressioni si verificano e delle possibili cause scatenanti, si è provato a costruire alcune categorie per descrivere le diverse forme di bullismo. Si è così parlato di:

  • bullismo fisico, quando il bullo ricorre a più o meno gravi forme di violenza fisica per imporre e dimostrare la propria supremazia sulla vittima;
  • bullismo verbale, quando l’aggressione avviene attraverso il ricorso all’insulto, allo scherno, al dileggio insistito ed opprimente;
  • bullismo relazionale, caratterizzato dall’obiettivo di allontanare la vittima da un gruppo attraverso una subdola attività intesa a diffondere voci, pettegolezzi e maldicenze sul suo conto;
  • bullismo sessuale, allorché le azioni aggressive coinvolgono la sfera della sessualità della vittima, attraverso condotte che dalle semplici molestie verbali possono anche arrivare sino a vere e proprie forme di violenza sessuale;
  • bullismo discriminatorio, ogniqualvolta le ragioni delle condotte vessatorie siano da ricercare nel fatto che il bullo intende colpire ed emarginare un soggetto individuato come diverso rispetto a canoni per lui accettabili (potendo la diversità essere ad esempio percepita sotto il profilo dell’orientamento sessuale, della provenienza geografica, della fede religiosa, ecc…).

È naturalmente opportuno chiarire che quelle appena richiamate sono soltanto categorie descrittive, utili a fornire un inquadramento sistematico del fenomeno e tuttavia incapaci di esprimere compiutamente le infinite sfaccettature del reale, potendo ciascun episodio verificarsi per molteplici ragioni e secondo modalità di volta in volta variabili.

Fatta questa avvertenza, è possibile osservare come la capillare diffusione di mezzi di comunicazione come computer, tablet e smartphone, messi a disposizione di fasce sempre più giovani della popolazione, abbia determinato l’emersione di nuove possibili modalità di aggressione, tutte ricomprese nella definizione “cyberbullismo”. Con tale espressione si usa indicare tutte quelle forme di bullismo realizzate attraverso strumenti elettronici, sfruttando l’ormai costante connessione di ognuno alla rete internet al fine di inviare e diffondere messaggi, immagini, video offensivi e qualsiasi altro contenuto pregiudizievole per il soggetto individuato come bersaglio. Rispetto a forme più tradizionali di bullismo – implicanti almeno una relazione di diretta conoscenza tra autore delle condotte e vittima – il cyberbullismo si configura secondo paradigmi nuovi, rivelando un allarmante potenziale di diffusività dei materiali condivisi online e una elevata dannosità delle sue conseguenze. Consapevole della sua spiccata pericolosità, il legislatore ha perciò dedicato una specifica disciplina al fenomeno del cyber-bullismo, introdotta con la L. 71/2017. A tale specifica forma di bullismo sarà quindi dedicato un apposito e separato approfondimento.

Le categorie di bullismo sopra descritte, nonché le ipotesi di cyber-bullismo, si prestano infine anche ad un’altra chiave di lettura, che distingue tra bullismo diretto e bullismo indiretto. Nel primo caso le condotte aggressive coinvolgono direttamente la persona che ne è vittima e che diventa bersaglio di insulti, minacce, violenze e atti discriminatori; nel secondo caso invece il bullo agisce alle spalle della vittima, minandone la reputazione nell’ambito del gruppo di riferimento (la classe, la squadra sportiva, ecc…), allo scopo di provocarne in qualche modo l’allontanamento. Si tratta, com’è evidente, di modalità d’azione distinte, ma ugualmente pericolose, in quanto entrambe idonee a determinare la progressiva emarginazione del soggetto bullizzato, con tutte le conseguenze pregiudizievoli che si sono già illustrate.

4. Soggetti coinvolti

Gli studi che si sono occupati del fenomeno hanno tratteggiato il profilo dei soggetti coinvolti negli episodi di bullismo[9], osservando che:

  • il bullo agisce principalmente per soddisfare un proprio bisogno di dominio, potere ed auto-affermazione, dando sfogo ad una aggressività che spesso caratterizza anche i suoi rapporti con soggetti adulti; in molti casi il ruolo del bullo è peraltro condiviso tra due o più soggetti, uno dei quali agisce in posizione dominante, mentre gli altri tendono ad assumere le vesti di gregari del primo;
  • la vittima presenta spesso una o più caratteristiche (fisiche, psicologiche, comportamentali) che il bullo individua come profili di debolezza o diversità, sui quali far leva nel porre in essere le proprie condotte aggressive; a fronte di vittime che subiscono gli atti di bullismo in maniera inerte e remissiva, vi sono però anche persone che in qualche modo tentano di reagire, ancorché in maniera goffa o inefficace, e proprio per tale ragione finiscono per essere ulteriormente bersaglio di angherie e soprusi;
  • nel complessivo fenomeno del bullismo (anche nelle sue forme online) un ruolo importante deve infine riconoscersi ai terzi che assistono o comunque vengono a conoscenza degli atti vessatori: le loro reazioni agli atti di bullismo (approvazione, indifferenza, disapprovazione) possono contribuire ad alimentare o viceversa estinguere il fenomeno, che trova una delle sue ragioni d’essere proprio nelle dinamiche del gruppo all’interno del quale il bullo viene ad agire.

La famiglia e la scuola rimangono invece spesso estranei al fenomeno: talvolta perché indifferenti o incapaci di accorgersi efficacemente di segnali e campanelli d’allarme desumibili dagli atteggiamenti dei più giovani, talvolta perché è la stessa vittima a non voler rivelare quanto sta vivendo, nel timore di aggravare la propria situazione od esporsi a sofferenze ulteriori. Come si vedrà anche nel prosieguo, scuola e famiglia sono invece presidi essenziali per assicurare la corretta crescita di bambini e ragazzi e garantire la prevenzione e l’eventuale rapida individuazione di episodi di bullismo.

5. Normativa e strumenti di tutela contro il bullismo

Ad oggi, non esiste nell’ordinamento italiano una esplicita definizione normativa di “bullismo”. Al di là infatti di due isolati provvedimenti legislativi aventi ad oggetto l’adozione di misure organizzative per il contrasto del bullismo in ambito scolastico[10], anche la recente legge n. 71/2017 è intervenuta soltanto in materia di cyber-bullismo, offrendo una definizione legata alle specifiche modalità con le quali possono realizzarsi condotte di aggressione e discriminazione giovanile online.

Dinanzi ad atti di bullismo il problema è allora capire da un lato se esistono strumenti di tutela in grado di offrire protezione al minore che ne è vittima e dall’altro quali sono le forme di responsabilità, civile e penale, alle quali si espone l’autore di simili condotte.

Una volta esaminati tali profili, anche alla luce della giurisprudenza che si è occupata del tema in esame, sarà possibile chiedersi se la normativa vigente assicuri un adeguato livello di tutela o se occorrano ulteriori interventi da parte del legislatore; e quindi, in ultima battuta, valutare se le novità normative attualmente all’esame del Senato potranno apportare utili miglioramenti nel contrasto ad un così delicato fenomeno.

6. Tutele sul piano penale

Le diverse condotte attraverso le quali il fenomeno del bullismo può manifestarsi appaiono riconducibili a molteplici fattispecie di reato previste dal codice penale.

Accanto alle norme poste a protezione dell’incolumità di ciascun individuo, vengono in rilievo altresì quelle inerenti la tutela dell’onore, della libertà e anche del patrimonio della persona offesa.

Così, mentre a fronte di episodi di bullismo consistiti in aggressioni sul piano fisico e verbale potrebbero ravvisarsi i delitti di percosse (art. 581 cod. pen.), lesioni (art. 582 cod. pen.) o minaccia (art. 612 cod. pen.), dinanzi a più sottili ed indirette forme di vessazione potrebbe configurarsi un’ipotesi di diffamazione (art. 595 cod. pen., aggravata se commessa attraverso gli strumenti informatici di cui anche i ragazzi più giovani fanno ormai ampio e costante uso). Nei casi in cui le condotte bullizzanti arrivino a coinvolgere non solo la persona, ma anche i beni della vittima, potrebbero configurarsi poi altri reati quali il danneggiamento (art. 635 cod. pen.), la rapina (art. 628 cod. pen.) o l’estorsione (art. 629 cod. pen.). Un’ulteriore ipotesi, senz’altro meno allarmante e residuale rispetto a quelle finora richiamate, è quella prevista dal reato contravvenzionale di molestia o disturbo alle persone (art. 660 cod. pen.); all’opposto, in casi di estrema gravità, non si può escludere la possibilità di ravvisare addirittura il delitto di istigazione al suicidio (art. 580 cod. pen.)[11].

Una posizione di particolare rilievo merita poi il reato di atti persecutori, introdotto all’art. 612-bis cod. pen. per effetto del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito poi in L. 23 aprile 2009, n. 38. Tale fattispecie – comunemente nota anche col nome di “stalking” e spesso evocata a proposito di vicende nelle quali un partner, non accettando la fine di una relazione, inizia a perseguitare tenacemente l’ex compagno/a attraverso una reiterata serie di molestie o minacce – è stata spesso individuata come applicabile anche ad alcune ipotesi di bullismo: il delitto in esame ben si presta infatti a ricomprendere nell’area del penalmente rilevante tutta una serie di condotte che, pur non necessariamente censurabili se considerate in maniera isolata l’una dalle altre, acquistano una reale efficacia lesiva se osservate invece nel loro complesso, in quanto idonee a provocare notevoli sconvolgimenti nella vita, nelle abitudini e, più in generale, nella serenità della persona offesa.

Ha ad esempio ravvisato il reato di atti persecutori, confermando così quanto già ritenuto dai giudici di merito nei precedenti gradi di giudizio, una recente sentenza della Corte di Cassazione chiamata ad esprimersi in relazione ad una vicenda di soprusi e angherie subiti da un ragazzo all’interno dell’ambiente scolastico[12].

Come si vedrà meglio in seguito, il reato di cui all’art. 612-bis cod. pen. è oggetto di costante interesse da parte del legislatore: proprio tale disposizione normativa è stata infatti individuata come possibile base sulla quale innestare modifiche ed interventi finalizzati a rafforzare la tutela penale nei confronti del fenomeno del bullismo.

Considerata la giovane età dei soggetti tipicamente coinvolti nel fenomeno che si sta analizzando, dinanzi all’ampia schiera di possibili incriminazioni appena passate in rassegna risultano quantomai opportune due considerazioni: da un lato, l’art. 97 cod. pen. esclude l’imputabilità dei ragazzi di età inferiore a quattordici anni, potendo essi tutt’al più essere sottoposti a misure di sicurezza in caso di accertata pericolosità sociale; dall’altro lato, pur ipotizzando di trovarsi dinanzi ad un minore di età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni del quale, ai sensi dell’art. 98 cod. pen., sia accertata la capacità di intendere e volere, occorre tuttavia sottolineare come il ricorso alla sanzione penale rappresenti davvero l’extrema ratio.

Nell’ambito del processo penale minorile il legislatore ha infatti apprestato diversi istituti aventi lo scopo di favorire la rieducazione e il reinserimento sociale del giovane che pur ha sbagliato, privilegiando così percorsi alternativi rispetto alla semplicistica irrogazione di una sanzione. In questo senso, si ricordano le ipotesi di proscioglimento per irrilevanza del fatto (art. 27 D.P.R. 448/1988), per effetto di perdono giudiziale (art. 169 cod. pen.) e per esito positivo del percorso di messa alla prova (artt. 28 e 29 D.P.R. 448/1988)[13].

7. Tutele sul piano civile

Le varie condotte riconducibili al fenomeno del bullismo possono naturalmente determinare conseguenze anche sul piano civilistico: poiché tuttavia autori di simili comportamenti sono spesso soggetti minorenni, a rispondere dei danni eventualmente cagionati potranno essere i genitori e, più in generale, coloro che rivestono una posizione di responsabilità rispetto a persone di minore età.

Vengono in rilievo, al riguardo, gli artt. 2047 e 2048 cod. civ.: come chiarito dalla giurisprudenza[14], si tratta di norme alternative l’una rispetto all’altra e destinate ad applicarsi, rispettivamente, nei casi in cui a provocare un danno sia stato un minore ritenuto incapace d’intendere e volere al momento del fatto o, viceversa, un minore che per età e grado di sviluppo possa invece valutarsi sufficientemente maturo e consapevole delle proprie azioni.

Nel primo caso la responsabilità dei genitori è fondata sull’insufficiente sorveglianza dagli stessi esercitata su un minore ancora incapace di determinarsi in maniera consapevole, al fine di evitare che quest’ultimo producesse un danno nei confronti di terzi; assai rigorosa è la prova richiesta ai genitori per sottrarsi a responsabilità, dovendo essi “provare di non aver potuto impedire il fatto e quindi dimostrare un fatto impeditivo assoluto”[15].

Nel secondo caso invece la responsabilità dei genitori per il fatto commesso da un giovane comunque in grado di comprendere l’eventuale disvalore delle proprie azioni è dal legislatore attribuita ad un non perfetto assolvimento da parte loro del fondamentale “onere di impartire ai figli l’educazione necessaria per non recare danni a terzi nella loro vita di relazione”[16]. In questa ipotesi la responsabilità dei genitori può concorrere con quella dello stesso minore capace d’intendere e volere[17].

Una recente ordinanza della Suprema Corte[18] costituisce un interessante esempio di come anche la giurisprudenza civile sia attenta e consapevole della gravità del fenomeno di cui si discute.

Chiamati a pronunciarsi su una vicenda nella quale un giovane, vittima delle reiterate prepotenze di alcuni compagni, aveva colpito uno di essi con un pugno al volto provocandogli alcune lesioni (vicenda che in sede penale si era peraltro già conclusa con sentenza di non luogo a procedere), i giudici di legittimità – pur biasimando il gesto violento e riconoscendo quindi la responsabilità ex art. 2048 cod. civ. dei genitori del ragazzo che aveva sferrato il pugno – hanno evidenziato come la condotta bullizzante subita dalla vittima dovesse essere tenuta in adeguata considerazione al fine di ridimensionare ex art. 1227 cod. civ. il risarcimento dovuto al giovane rimasto ferito, il quale con la sua condotta aveva comunque contribuito a determinare il fatto dannoso.

In proposito, la Corte ha con grande realismo osservato come “quando l’autore della reazione sia un adolescente, vittima di comportamenti prevaricatori, aggressivi, mortificanti e reiterati nel tempo, occorre […] tener conto che la sua personalità non si è ancora formata in modo saldo e positivo rispetto alla sequela vittimizzante cui è stato sopposto; è prevedibile, infatti, che la sua reazione possa risolversi, a seconda dei casi, nell’adozione di comportamenti aggressivi internalizzati che possono trasformarsi, con costi anche particolarmente elevati in termini emotivi, in forme di resilienza passiva e autoconservative, evolvere verso forme di autodistruzione oppure tradursi, come è avvenuto nel caso di specie, nell’assunzione di comportamenti esternalizzati aggressivi”.

Molto significativi sono poi i passaggi in cui la Corte riconosce che “il bullismo non dà vita ad un conflitto meramente individuale, come dimostrano le rilevazioni statistiche, e richiede un coacervo di interventi coordinati che, oltre a contenere il fenomeno, fungano da diaframma invalicabile che si interponga tra l’autore degli atti di bullismo e le persone offese, anche onde rendere del tutto ingiustificabile la reazione di queste ultime”.

Valorizzando un’ottica di prevenzione e rapida individuazione degli episodi di bullismo, l’ordinanza in commento osserva come spetterebbe alle istituzioni, ed in particolare alla scuola, intervenire per “arginare il fenomeno del bullismo e per sostenere” le giovani vittime. Addossare a queste ultime e alle loro famiglie l’intera responsabilità per i danni eventualmente cagionati da reazioni che, per quanto scomposte e criticabili, risultavano comunque dettate dall’esasperazione, avrebbe sostanzialmente il sapore della beffa e non costituirebbe un’efficace forma di giustizia riparativa.

Conclude quindi la Corte osservando che “è persino doveroso che l’ordinamento si dimostri sensibile verso coloro che sono esposti continuamente a condizioni vittimizzanti idonee a provocare e ad amplificare le reazioni rispetto alle sollecitazioni negative ricevute; soprattutto ove la vittima venga privata del meccanismo repressivo istituzionale dell’illecito e, come sembra sia avvenuto in questo caso, venga lasciata sola nell’affrontare il conflitto”.

Prevenzione del fenomeno e supporto delle vittime sono dunque le due strategie che le istituzioni dovrebbero porre in campo per contrastare la piaga del bullismo: in questa direzione si è in effetti mosso il legislatore con la già menzionata legge del 2017 in materia di cyber-bullismo e si stanno, in parte, muovendo anche i recenti progetti di legge presentati in Parlamento.

8. I progetti di legge al vaglio del Parlamento

Nel corso dell’attuale legislatura, diverse sono state le iniziative parlamentari aventi ad oggetto interventi di contrasto al fenomeno del bullismo. Poiché però la maggior parte di tali progetti di legge si trova ancora nelle fasi preliminari del proprio iter, l’attenzione si concentrerà qui su due iniziative il cui esame è entrato maggiormente nel vivo: si tratta, da un lato, di una proposta di legge presentata alla Camera e da questa già approvata negli ultimi giorni dello scorso gennaio (n. C-1524, S-1690)[19] e, dall’altro lato, di un più recente disegno di legge presentato al Senato (n. S-1743)[20]. Trattando la medesima tematica, le due iniziative si trovano attualmente in discussione congiunta dinanzi alle commissioni affari costituzionali e giustizia del Senato.

La proposta di legge già esaminata dalla Camera, composta di nove articoli, apporta anzitutto una serie di aggiunte all’art. 612-bis cod. pen.. Allo scopo di estendere l’ambito oggettivo di applicazione del reato di atti persecutori si vorrebbe infatti introdurre la “condizione di emarginazione della vittima” come ulteriore possibile evento derivante dalle reiterate condotte di molestia o minaccia[21]. Al fine di colpire le vicende in cui i bulli sono più d’uno, viene suggerito l’inserimento tra le aggravanti ad effetto speciale, implicanti un possibile aumento di pena sino alla metà, dell’ipotesi in cui le condotte persecutorie siano state poste in essere da più persone. Infine, con previsione finalizzata a contrastare in particolar modo quelle forme di bullismo che si avvalgono del web o di altri mezzi di comunicazione, si vorrebbe stabilire la confisca obbligatoria degli strumenti informatici e telematici eventualmente utilizzati per commettere il reato. Rimangono ferme sia l’attuale cornice sanzionatoria (recentemente inasprita per effetto della c.d. “legge sul codice rosso”, n. 69/2019), sia la procedibilità a querela (dovendosi però notare come sia necessario procedere d’ufficio se, tra le altre ipotesi, gli atti persecutori siano commessi nei confronti di un minore – circostanza evidentemente frequente nel fenomeno oggetto di analisi).

Un ulteriore intervento sul versante penale riguarda l’art. 731 cod. pen., che sanziona la condotta di chi – avendo la responsabilità su un minore – omette di fargli impartire la necessaria istruzione scolastica. Le modifiche proposte da un lato comporterebbero l’aumento della cornice edittale (con un balzo vertiginoso che porterebbe l’attuale sanzione pari a non più di 30,00 euro di ammenda a dover invece essere irrogata tra un minimo di 100,00 ed un massimo di 1.000,00 euro); dall’altro determinerebbero l’estensione dell’ambito di applicazione della norma, attraverso l’eliminazione del riferimento alla sola istruzione “elementare”, con conseguente rilevanza dell’intero percorso della scuola dell’obbligo[22].

Ulteriori modifiche verrebbero poi introdotte alla già menzionata L. 71/2017: originariamente dedicata al solo fenomeno del cyber-bullismo, la legge in questione vedrebbe il proprio campo d’applicazione estendersi anche al contrasto di tutte le altre forme di bullismo che si verificano al di fuori del web e dei mezzi di comunicazione digitale (con conseguente possibilità di applicare, ad esempio, la misura dell’ammonimento del questore, prevista in tale legge). Tra le ulteriori modifiche prospettate, meritevoli di nota appaiono la previsione della possibilità per le Regioni di istituire servizi di sostegno psicologico in ambito scolastico e la più analitica indicazione dei provvedimenti che ciascun dirigente scolastico può essere chiamato ad adottare allorché venga a conoscenza di episodi di bullismo consumatisi a scuola.

Alcune modifiche potrebbero interessare poi il regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito nella c.d. “legge minorile” del 27 maggio 1935, n. 835. Le novità più significative riguarderebbero l’art. 25 del menzionato regio decreto, che prevede la possibilità di applicare misure coercitive di natura non penale nei confronti di minorenni (anche infraquattordicenni) dalla condotta socialmente inaccettabile. L’intervento normativo attualmente al vaglio del Senato, in particolare, inserirebbe tra le ipotesi in cui è possibile procedere all’adozione di misure di rieducazione e sostegno anche quelle in cui vengano riscontrate condotte aggressive, anche di gruppo, nei confronti di persone, animali o cose o lesive della dignità altrui.

Gli ulteriori interventi oggetto della proposta di legge riguarderebbero inoltre l’adeguamento dello statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, adottato con D.P.R. n. 249 del 1998 e modificato con D.P.R. n. 235 del 2007, aggiornandolo con alcune previsioni finalizzate alla prevenzione ed al contrasto del bullismo in tutte le sue forme; la predisposizione da parte del Ministero dell’Istruzione di strumenti di monitoraggio del fenomeno e di formazione dei docenti chiamati a fronteggiarlo; l’istituzione di un numero telefonico nazionale gratuito dedicato all’assistenza nei confronti delle vittime; la periodica rilevazione dell’andamento del fenomeno su scala nazionale, a cura dell’Istat.

L’altro disegno di legge attualmente in fase di esame si colloca all’esito di una indagine conoscitiva sulle tematiche del bullismo e del cyber-bullismo, svolta nel corso del 2019 dalla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza[23].

Anche in questo caso si propone di estendere l’ambito di applicazione della già vigente L. 71/2017 in modo da ricomprendervi tutte le possibili forme nelle quali il fenomeno in esame può manifestarsi. A tal fine si prevede l’inserimento di una apposita definizione di “bullismo”, descritto come “l’aggressione o la molestia reiterate, da parte di una singola persona o di un gruppo di persone, a danno di una o più vittime minorenni, idonee a provocare in esse sentimenti di ansia, di timore, di isolamento o di emarginazione, attraverso atti o comportamenti vessatori, pressioni o violenze fisiche o psicologiche, istigazione al suicidio o all’autolesionismo, minacce o ricatti, furti o danneggiamenti, offese o derisioni anche per ragioni di lingua, etnia, religione, orientamento sessuale, genere, aspetto fisico, disabilità o altre condizioni personali e sociali della vittima”.

Le successive misure riguardano invece più strettamente le ipotesi di cyber-bullismo.

In primo luogo, si prevede che gli amministratori di siti web e gli internet provider siano chiamati ad adottare misure per impedire la navigazione e l’utilizzo dei relativi account a soggetti resisi protagonisti di comportamenti illeciti sul web, dovendo essi al contempo garantire l’individuazione di una figura con il ruolo di “amministratore responsabile”, chiamato a rispondere di quanto pubblicato online, secondo un modello di responsabilità assimilabile a quello contemplato dalla legge sulla stampa.

In un’ottica di prevenzione e sensibilizzazione, si vorrebbe poi disporre l’obbligatorio inserimento, all’interno dei contratti di attivazione dei servizi prestati dai vari operatori delle telecomunicazioni, di un espresso richiamo alle disposizioni di cui all’art. 2048 cod. civ., relative alla responsabilità civile dei genitori nel caso di danni causati dai minori in conseguenza di atti illeciti posti in essere attraverso l’uso della rete.

Viene inoltre previsto l’obbligo per tutti gli operatori di telefonia, reti televisive e comunicazioni elettroniche di predisporre sistemi di parental control, attivabili gratuitamente dietro semplice richiesta di ciascun utente.

Viene infine prevista, a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la possibilità di promuovere campagne informative sull’uso consapevole della rete e l’istituzione di un numero telefonico nazionale gratuito per l’assistenza delle vittime di bullismo e cyber-bullismo.

Passate in rassegna le principali novità recate da entrambi i progetti di legge attualmente al vaglio del Senato, è possibile a questo punto provare a formulare alcune brevi osservazioni, tentando di evidenziare i punti di contatto o di differenza tra le due iniziative.

Comune ad entrambe le iniziative è senza dubbio lo sforzo verso una maggiore sensibilizzazione e prevenzione del fenomeno, seppur declinato attraverso provvedimenti non del tutto coincidenti; completamente diverso è invece l’approccio dal punto di vista del ricorso al diritto penale.

Ancorché nella proposta C-1524 non si arrivi a prospettare l’introduzione di una norma incriminatrice ad hoc (a differenza di quanto suggerito invece da altri progetti di legge non ancora esaminati in Parlamento), vi è da chiedersi se le modifiche da apportare all’art. 612-bis cod. pen. siano davvero necessitate, nel senso che solo attraverso tali aggiunte sarebbe possibile offrire tutela ad ipotesi che, altrimenti, rischierebbero di restarne prive, stando alla legislazione vigente.

Rispetto a tale interrogativo, può essere utile richiamare la più volte menzionata indagine conoscitiva del 2019, nell’ambito della quale è emerso come – a parere di molti tra gli esperti sentiti dalla competente Commissione parlamentare – il contrasto al fenomeno del bullismo non richiede l’introduzione di apposite fattispecie penali: a fronte di un impianto normativo già oggi in grado di inquadrare le diverse forme di aggressione integranti episodi di bullismo (potendosi, tutt’al più, valutare l’inserimento di circostanze aggravanti specifiche, al fine di inasprire il trattamento sanzionatorio di alcune ipotesi avvertite come di particolare gravità), l’indicazione principale è quella di puntare piuttosto sulla prevenzione del fenomeno e sulla formazione, soprattutto in ambito scolastico e familiare[24].

Considerate le peculiarità del fenomeno, la giovane età dei soggetti che ne sono protagonisti sia come autori che come vittime, nonché la gravità delle conseguenze che possono derivarne non solo per i singoli, ma più in generale per la collettività, l’impressione è che il ricorso agli strumenti del diritto penale non sia la risposta più adeguata: la semplice punizione di chi pur ha sbagliato (soprattutto se in giovane età), non può cioè supplire a una serie di carenze che in qualche modo possono sicuramente aver contribuito a determinare una condotta deviante. Decisamente condivisibile sembra invece l’attenzione riposta sul versante educativo, nell’ambito del quale scuola e famiglia rappresentano le due “istituzioni” che per prime devono farsi carico di trasmettere ai più giovani modelli positivi di comportamento, mantenendo al contempo alta la guardia per poter intercettare precocemente eventuali segnali di disagio o di difficoltà.


[1] Cfr. Vocabolario on-line Treccani, secondo cui per bullismo si intende un “atteggiamento di sopraffazione sui più deboli, con riferimento a violenze fisiche e psicologiche attuate spec. in ambienti scolastici o giovanili”; voce disponibile all’indirizzo http://www.treccani.it/vocabolario/bullismo/

[2] Si rinvia in proposito alla “Audizione del Presidente dell’Istituto nazionale di statistica Gian Carlo Blangiardo” del 27 marzo 2019 dinanzi alla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, reperibile all’indirizzo https://www.istat.it/it/archivio/228976

[3] Soltanto nell’attuale legislatura, risultano esser stati presentanti ben otto progetti di legge aventi ad oggetto l’adozione di provvedimenti finalizzati al contrasto del fenomeno del bullismo; nel corso del 2019 inoltre la Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza ha svolto una indagine conoscitiva su bullismo e cyberbullismo, il cui documento conclusivo è consultabile al seguente indirizzo http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/1145759.pdf

[4] La motivazione completa del conferimento di tale onorificenza è reperibile all’indirizzo https://www.quirinale.it/allegati_statici/alfiere/alfiere-2019.pdf

[5] Si tratta della Proposta di Legge C-1524, per i cui dettagli si rinvia al sito internet istituzionale della Camera dei Deputati, all’indirizzo https://www.camera.it/leg18/126?leg=18&idDocumento=1524

[6] Citazione tratta da OLWEUS, D. (1993), Bullying at school. What we know and what we can do. Oxford, Blackwell Publishers, e qui ripresa da https://www.pedagogia.it/blog/2016/07/13/il-fenomeno-del-bullismo/

Interessante anche la definizione fornita da Sonia Sharp e Peter K. Smith in SHARP S., SMITH P. K. (1994), Tackling bullying in your school. A practical handbook for teachers. New York, Routledge, secondo cui “un comportamento da “bullo” è un tipo di azione che mira deliberatamente a far del male o danneggiare; spesso è persistente, talvolta dura per settimane, mesi e persino anni ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime. Alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori c’è un abuso di potere e un desiderio di intimidire e dominare”.

[7] Cfr. NANIA L., Cyberbullismo, Legge 29 maggio 2017 n. 71 – La tutela dell’integrità psicofisica della persona di minore età al tempo di internet nella prospettiva interna, europea ed internazionale, slides realizzate in occasione di un corso della Scuola Superiore della Magistratura tenutosi il 24 settembre 2018 presso la Corte di Cassazione.

[8] Sulle conseguenze dannose del bullismo si veda ad esempio quanto osservato nell’ambito del documento finale della già menzionata indagine conoscitiva su bullismo e cyberbullismo (pag. 5), nella parte in cui – ripercorrendo le audizioni di esperti in pediatria, psicologia e psichiatria – si evidenzia che “le vittime di bullismo, soprattutto se adolescenti, mostrano, infatti, tutti i segni ricorrenti nella vittimologia da trauma. Gli episodi di bullismo subiti possono comportare oltre a disturbi del sonno e ad altre forme di somatizzazione del trauma, anche imperiture modifiche della personalità, che finiscono per condizionare la vita delle vittime anche da adulti. Peraltro non è infrequente notare l’insorgenza nelle vittime di comportamenti aggressivi e vessatori. Altrettanto ricorrente è la rilevazione di un processo di identificazione fra il bullizzato e il suo persecutore, per il quale la vittima diventa carnefice, perseguitando a sua volta. Un ulteriore aspetto particolarmente grave è rappresentato dal processo di esclusione che il bullismo comporta per le vittime. All’esclusione dal gruppo sociale si associa poi un forte sentimento di vergogna nella vittima che spesso non riesce a condividere quanto accade neppure con le famiglie”.

[9] La distinzione che si propone è ad esempio riproposta sul sito istituzionale dell’Arma dei Carabinieri, all’indirizzo http://www.carabinieri.it/cittadino/consigli/tematici/questioni-di-vita/il-bullismo/il-bullismo

[10] Il riferimento va, da un lato, all’articolo 50 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, recante, tra le norme per l’autonomia scolastica, la previsione di linee guida ministeriali per la definizione, fra l’altro, di un organico di rete territoriale tra istituzioni scolastiche, finalizzato anche al contrasto dei fenomeni di bullismo; dall’altro lato, all’articolo 1, comma 7, lettera l) della legge 13 luglio 2015, n, 107, recante riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione nonché delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti, laddove veniva previsto che tra gli obiettivi di potenziamento dell’offerta formativa rientrasse anche la prevenzione ed il contrasto di ogni forma di discriminazione e di bullismo, anche informatico. Per la ricostruzione di tale contesto normativo si è fatto riferimento a quanto riportato nel documento finale della già menzionata indagine conoscitiva su bullismo e cyberbullismo (pag. 25).

[11] Per una elencazione dei possibili reati ravvisabili nelle ipotesi di bullismo e cyberbullismo, si rinvia a BOCCHINI R., MONTANARI M., Le nuove disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo  (l. 29 maggio 2017, n. 71), in Nuove Leggi Civ. Comm., 2018, 2, 340 (commento alla normativa).

[12] Cass. Pen., sez. V, n. 23623 del 27.04.2017, dep. 08/06.2017; nell’ambito di tale sentenza, significativi appaiono i passaggi in cui la Corte, al fine di confermare la bontà del percorso motivazionale seguito dall’ impugnata pronuncia d’appello, ne riprende alcuni spunti osservando come, a seguito “delle aggressioni fisiche e delle molestie nel primo anno di frequenza delle scuole superiori”, la persona offesa, “ormai succube della violenza, dopo un iniziale tentativo di ribellione, aveva dovuto accettare condotte di sopraffazione per «evitare altre botte»”.

[13] Per una breve analisi di tali istituti nell’ottica del contrasto al fenomeno del bullismo, si rinvia a ARCIULI F. R., Devianza giovanile. Prevenzione, repressione, rieducazione. Tipologie di devianza a confronto: dalle baby gang al bullismo, il fenomeno nell’esperienza giudiziaria, relazione presentata in occasione di un corso della Scuola Superiore della Magistratura tenutosi il 6 maggio 2019 presso la sede di Scandicci.

[14] Cass. Civ., sez. III, n. 2606 del 25.03.1997, secondo cui “La responsabilità del genitore, per il danno cagionato da fatto illecito del figlio minore, trova fondamento, a seconda che il minore sia o meno capace di intendere e volere al momento del fatto, rispettivamente nell’art. 2048 cod. civ., in relazione ad una presunzione “iuris tantum” di difetto di educazione ovvero nell’ art. 2047 cod. civ., in relazione ad una presunzione “iuris tantum” di difetto di sorveglianza e di vigilanza. Le indicate ipotesi di responsabilità presunta pertanto, sono alternative – e non concorrenti – tra loro, in dipendenza dell’ accertamento, in concreto, dell’ esistenza di quella capacità”.

[15] Cass. Civ., sez. III, n. 1148 del 20.01.2005

[16] Cass. Civ., sez. III, ord. n. 22541 del 10.09.2019

[17] Come chiarito da Cass. Civ., sez. III, n. 8263 del 13.09.1996, secondo cui “La responsabilità dei genitori per il fatto illecito dei figli minori ai sensi dell’art. 2048 cod. civ. può concorrere con quella degli stessi minori fondata sull’art. 2043 cod. civ. se capaci di intendere e di volere. Del pari, il vincolo di solidarietà sussiste anche tra la responsabilità dei genitori da un lato e quella dei precettori dall’altro, fondate rispettivamente sulla “culpa in educando” e sulla “culpa in vigilando”, quando sia stata accertata una inadeguata educazione del minore alla vita di relazione”.

[18] Cass. Civ., sez. III, n. 22541 del 10.09.2019

[19] Proposta di Legge C-1524, presentata il 23 gennaio 2019 alla Camera dei Deputati dall’On. Dori ed altri, avente ad oggetto “Modifiche al codice penale, alla legge 29 maggio 2017, n. 71, e al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, in materia di prevenzione e contrasto del fenomeno del bullismo e di misure rieducative dei minori”; testo della proposta di legge e ulteriori dettagli all’indirizzo https://www.camera.it/leg18/126?leg=18&idDocumento=1524

[20] Disegno di legge S-1743, presentato il 27 febbraio 2020 al Senato dalla Sen. Ronzulli, avente ad oggetto “Modifiche alla legge 29 maggio 2017, n. 71, e altre disposizioni per il contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo”; testo del disegno di legge e ulteriori dettagli all’indirizzo http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/52825.htm

[21] Come osservato a pag. 2 dalla nota breve n. 176 del marzo 2020 redatta dal Servizio Studi del Senato (disponibile all’indirizzo https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01145438.pdf), “la condizione di emarginazione non è attualmente definita dal codice penale ma il concetto è richiamato dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. IV, sentenza n. 5905 del 2018) sul mobbing, definito anche come “danno da emarginazione”. Secondo il Giudice amministrativo ai fini della configurabilità della condotta lesiva di mobbing, è rilevante, innanzitutto, la strategia unitaria persecutoria, «che non si sostanzia in singoli atti da ricondurre nell’ordinaria dinamica del rapporto di lavoro (come i normali conflitti interpersonali nell’ambiente lavorativo, causati da antipatia, sfiducia, scarsa stima professionale, ma che non sono caratterizzati dalla volontà di emarginare il lavoratore), che ha come disegno unitario la finalità di emarginare il dipendente o di porlo in una posizione di debolezza»”.

[22] In proposito, la già menzionata nota breve del Servizio Studi del Senato, alle pagg. 3 e 4, ricorda come “l’art. 1, co. 622, della L. 26 dicembre 2006, n. 296 (L. finanziaria 2007) ha stabilito che, a decorrere dall’a.s. 2007/2008, è obbligatoria l’istruzione impartita per almeno dieci anni e che la stessa è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età”.

[23] Cfr. nota 3, supra.

[24] Si vedano, al riguardo, le osservazioni espresse sia da esperti in pediatria, psicologia e psichiatria, sia da magistrati e di esperti in materie giuridiche, riassunte alle pagg. 4 e ss. dell’indagine conoscitiva su bullismo e cyberbullismo, per i cui dettagli si rinvia alla nota n. 3.

 

Fonte: altalex.com