bullismo, testimonianza di Vincenzo Vetere

“Il mio inferno come vittima di bullismo: ora mi impegno per combatterlo”


Il giovane, classe 1995, racconta le continue vessazioni e angherie che tanto lo hanno fatto soffrire fino a perdere temporaneamente i capelli a causa del forte stress patito.

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Vincenzo Vetere“Ho subito bullismo dalle elementari alle superiori e sono stati anni terribili”. Così Vincenzo Vetere, classe 1995, racconta le continue vessazioni e angherie che tanto lo hanno fatto soffrire fino a perdere temporaneamente i capelli a causa del forte stress patito.

Terminati gli studi, ha deciso di costituire l’associazione Acbs contro il bullismo scolastico, che ha sede a Magnago (in provincia di Milano) e una nuova filiale a Martinengo, punto d’ascolto promosso dall’Asst di Bergamo nei locali dell’ex ospedale del paese, in piazza Maggiore 11, e gestito da Acbs. Al sodalizio verrà devoluto il ricavato della rappresentazione teatrale “The greatest show”, in scena sabato 4 maggio alle 21 al teatro di Colognola con la compagnia Seipiù, Le Momi Girls e la scuola di danza Point dance: si esibiranno imitatori, drag queen, ballerini, burlesque, attori e cantanti, oltre all’intervento di Vetere. Lo abbiamo intervistato per saperne di più.

Cosa l’ha spinto a dar vita a questa associazione?

È nata il 9 febbraio 2015: avevo 19 anni e ho deciso di fondarla perché io e mio fratello maggiore Giuseppe abbiamo subito bullismo e cyberbullismo. Io per 13 anni, dalla prima elementare alla quinta superiore, mentre lui ha interrotto gli studi a 15 anni per questa problematica. Nel mio caso i compagni di classe hanno cominciato subito perché in un piccolo paese come Magnago le famiglie vengono categorizzate in base al cognome e, quando hanno saputo che era mio fratello, avrei dovuto essere trattato nello stesso modo.

Secondo lei come mai?

Me lo sono chiesto diverse volte invano: a distanza di anni ho individuato alcune ipotesi. Alle elementari venivo preso di mira per come mi vestivo, per le scarpe e l’abbigliamento perché la mia famiglia era umile, lavorava solo mio padre e non potevamo permetterci capi firmati. Poi perché i miei genitori provengono dalla Calabria e i miei compagni dicevano che per colpa di mio papà i loro non trovavano lavoro e avrei dovuto rimanere a casa mia, anche se sono nato qui e mi sentivo come loro. Inoltre, nonostante mangiassi tanto ero molto magro e mi accusavano di non avere fegato perché ero uno scheletro. Poi avevo una voce molto sottile, quasi tendente al femminile e mi schernivano paragonandomi a una donna.

Come reagiva?

Ne parlavo poco: a casa non raccontavo praticamente nulla, perché vedevo che i miei genitori stavano già soffrendo per quello che subiva mio fratello. Era bullismo femminile più che maschile: in modo particolare un episodio ci ha cambiato e ricordo come se fosse ieri: una domenica pomeriggio all’oratorio un gruppo di ragazze ha circondato Giuseppe e gli ha bloccato mani e piedi, mi hanno chiamato dicendomi che se non mi fossi inginocchiato e avessi mangiato dei sassi lo avrebbero picchiato, l’ho fatto ed è cominciata un’escalation. In paese tutti sapevano e ciò che più mi ha ferito è che nessuno sia venuto a chiederci spiegazioni, anzi la mamma di questa compagna di classe all’esterno della scuola il giorno dopo ha minacciato mio fratello: se avesse raccontato a qualcuno l’accaduto lo avrebbe impiccato. La notizia è corsa ma non in modo positivo: non avevo una bella dentatura e dicevano che era perché avevo sgranocchiato i sassi.

Ha subito bullismo anche dopo le elementari?

Alle medie nella mia classe c’era un ragazzo ripetente di un anno che mi ha preso di mira e poi è diventato il leader del gruppo. Un giorno mi ha spinto, ho sbattuto la testa contro il calorifero e per alcune ore ho perso la memoria: ho faticato anche a riconoscere mia mamma quando l’avevano chiamata. Nonostante in ospedale mi avessero consigliato di stare a riposo, il giorno seguente ho voluto tornare a scuola per chiedere chi fosse stato ma i miei compagni hanno risposto che l’unica cosa che sapevano dire è che avevo pianto come una femminuccia: è stato peggio del trauma cranico. Successivamente mi sono ricordato chi mi aveva spinto, l’ho riferito al dirigente scolastico ma mi ha risposto che se non fossi stato sicuro avrei creato problemi ai miei genitori, quindi ho compilato un modulo per l’assicurazione e a distanza di anni non ho ricevuto nemmeno un euro.

E com’era il suo rapporto con gli insegnanti?

Alle elementari nonostante tutto avevo un buon rendimento, mentre alle medie quando i miei genitori parlavano con i professori sembrava che non studiassi: ai colloqui hanno detto che avrei faticato a realizzare il sogno di diventare informatico e sconsigliavano di iscrivermi a quella scuola. Mi è crollato il mondo addosso: subivo tutti i giorni vessazioni e pensavo che almeno loro potessero comprendere la situazione ma non era così. Mio padre e mia madre mi hanno iscritto comunque alla scuola che desideravo e ora ho un lavoro a tempo a pieno nel settore informatico.

Come si è trovato alle superiori?

Ho frequentato l’istituto tecnico di Legnano e inizialmente non conoscevo nessuno. In classe c’era uno studente pluri-ripetente francese: era esuberante anche se guardandolo sembrava un bravo ragazzo, cercava di fare leva sulla comprensione perché era stato più volte bocciato, e con gli insegnanti funzionava. Col tempo mi ha preso di mira. Quando i professori mi interrogavano si posizionava alle mie spalle e imitava la mia voce, io mi bloccavo e gli insegnanti non lo zittivano, anzi dicevano che dovevo essere più forte. Ogni giorno mi chiamava per i compiti e glieli passavo nella speranza che i rapporti migliorassero, facevo tutto pur di essere accettato dal gruppo.

È stato così?

No, anzi è stato peggio. I professori pensavano che gli altri svolgessero i compiti e che io copiassi, e quando mi rifiutavo di passarglieli offendevano me e la mia famiglia, spostavano il mio banco e lo colpivano con dei pugni. In terza superiore ho cambiato classe ma ho ritrovato qualche compagno e le parole e gli scherzi sono ritornati: storpiavano il mio cognome, mi chiamavano Tevere e dicevano che ero sporco, povero e facevo schifo. Poi è iniziato il cyberbullismo.

Cosa è accaduto?

Avevo appena comprato il primo cellulare, mi ero iscritto a Facebook ed è stato devastante. Ho ricevuto una serie di offese pubbliche, ma non è tutto: su un Ask.fm, un sito dove si poteva fare domande in forma anonima, inizialmente mi arrivavano richieste stupide, per esempio il colore dei miei capelli o il mio piatto preferito, poi mi scrivevano: “Non presentarti all’ingresso della scuola” oppure “Devi morire”. In seguito hanno creato una pagina Facebook chiamata “Spotted (e il nome della scuola)” con un’amministratrice anonima, che poi ho scoperto essere la rappresentante d’istituto, una ragazza che era impegnata nel volontariato.

Come funzionava?

L’amministratrice chiedeva di inviarle messaggi in privato che avrebbe postato senza fare nomi. Ho trovato questa pagina perché un giorno uscendo dalla classe si sono avvicinati a me 6-7 ragazzi con un profumo e si sono divertiti a spruzzarmelo. Mi dissero che avevano letto su Facebook che puzzavo e volevano farmi un favore: cercando online ho visto che i messaggi a cui si riferivano erano scritti là, con commenti e likes. Quando andavo a scuola gli altri si avvicinavano, mi annusavano e poi se ne andavano. Hanno anche creato un profilo falso su Facebook fingendo di essere una ragazza della mia età cercando di sedurmi. Non avevo mai avuto relazioni, era qualcosa di nuovo e mi sono sciolto: questa fantomatica giovane mi scriveva che le interessavo e che avrebbe voluto vedermi, ma aveva sempre una scusa per rimandare l’incontro. A un certo punto, però, mi sono accorto che si trattava di un fake.

Come ha fatto?

In classe, durante alcuni momenti di tranquillità, i miei compagni ripetevano frasi che io le scrivevo. E poi ho scoperto un profilo Facebook con le stesse foto di questa ragazza e ho capito. È stato un colpo tremendo e sono entrato in depressione. Ma c’è altro: in quarta superiore mi hanno proposto di diventare rappresentante di classe. Mi faceva piacere, perché sarebbe stata un’opportunità per rendermi utile, ma soprattutto perché si erano accorti che esistevo. Sono stato eletto, ma poi hanno fatto leva su questo per farmi esporre con i professori per rinviare verifiche e interrogazioni, ma anche per le lamentele quando qualcuno riceveva un brutto voto. Il problema più grande, però, si presentò con l’organizzazione della gita.

In che senso?

Dovevamo scegliere una meta per più giorni che costasse poco perché molti stavano sostenendo spese per prendere la patente. Valutando tra le offerte di diverse agenzie ho trovato una settimana in Croazia, che però a loro non piaceva. Proposi Monaco di Baviera ma, considerando che l’avremmo raggiunta in pullman, dicevano che il tragitto sarebbe stato troppo lungo. Chiesi al dirigente scolastico di modificare la destinazione, ma rispose che non era più possibile. Un mio compagno prendendomi per la maglietta mi trascinò fuori dalla classe intimandomi che se non avessi avuto un’alternativa non avrei più potuto entrare. Tornai dalla preside con le lacrime agli occhi, capì e mi propose di fare cambio con Barcellona, dove sarebbe andata un’altra classe.

E come è andata?

Io non ho partecipato perché costava troppo, mentre i miei compagni sì, anche se poi si sono lamentati per il costo e gli spostamenti in pullman. In un’assemblea di classe un ragazzo ha detto che si erano comportati in quel modo perché non volevano avere in gita un morto di fame. Questo mi ha causato un fortissimo stress che mi ha portato alla perdita del 40% di capelli, che fortunatamente nel tempo sono ricresciuti. I miei compagni dicevano di starmi lontano perché avevo il cancro o una malattia rara: si avvicinavano, ridevano e poi si allontanavo. Il quinto anno l’ho trascorso rimanendo solo e in silenzio, ho preso questo benedetto diploma ed è nata l’idea di costituire l’associazione.

In che modo?

Digitando su Google “associazioni contro il bullismo” comparivano gruppi formati da genitori che avevano perso i loro figli per il bullismo, così ho pensato di crearne una che portasse la voce di chi l’ha subito. Siamo un team di quattro giovani volontari che nei week-end o nei giorni di ferie tiene incontri sul tema. L’idea è scaturita sentendo alla radio che un giovane con una storia simile alla mia si era ucciso perché esasperato dalle angherie subite.

E cosa risponde a chi dice che contro i bulli basterebbe farsi valere?

Non è così perché, almeno nel mio caso, erano più persone. Bisogna sensibilizzare chi è accanto a noi per capire se in quel momento hai bisogno di aiuto perché può intervenire, bloccare la situazione e chiamare un adulto.

Cosa le hanno lasciato le sofferenze che ha vissuto?

Lasciano il segno, per esempio ho meno fiducia negli altri e tuttora quando mi si presenta una ragazza tendo a rimanere sulla difensiva. L’unico cambiamento è che prima credevo di essere io il problema, mentre ora non è più così ed è un grande passo avanti.

Per concludere, cosa consiglia ai ragazzi che stanno subendo bullismo?

Di non tenere tutto dentro di sé e di non sentirsi in difetto, perché sono i bulli ad avere il vero problema: capiscono le tue potenzialità e fanno di tutto per sminuirle. AI bulli, invece, dico che devono imparare a studiare il volto di una persona perché se scherzandola non ride vuol dire che in quel momento sta soffrendo. Ma perché bisogna divertirsi facendo soffrire qualcun altro? Ci sono tanti altri modi per stare insieme in allegria senza far male a nessuno.

fonte: bergamonews.it